giovedì 29 maggio 2008

Mi regalo... un'aforisma

La migliore
medicina
del dolore
è la gioia

Alda Merini

Apprendimento collaborativo

Seguendo le indicazioni di Carmelo ho proposto ai miei alunni la produzione di testi descrittivi utilizzando una struttura di apprendimento collaborativo chiamata “Giro di tavolo” o “Round Robin”.

Consegna: descrizione di quattro oggetti presenti in aula.

I bambini hanno scelto di descrivere la lavagna, un pallone, un aquilone e un orologio a muro.

Sulla lavagna ho scritto la scaletta comune da seguire per facilitare la scrittura dei testi.

Ho formato 4 gruppi eterogenei composti di 4 bambini ciascuno.

Ogni gruppo ha ricevuto quattro fogli; su ogni foglio era scritto il nome di un solo oggetto tra quelli sopra menzionati, e su questo è stato descritto solo quell’oggetto. Ogni gruppo ha quindi descritto tutti e quattro gli oggetti.

Al via, ciascun bambino in ogni gruppo ha iniziato a descrivere un oggetto. Dopo un certo tempo, dato da me, il foglio di ogni bambino è passato al compagno accanto. Ciascuno ha letto ciò che avevano scritto i compagni prima di lui e ha continuato la descrizione dell’oggetto.

I fogli hanno fatto il giro del tavolo, passando da tutti e quattro i componenti del gruppo.

Il prodotto finale di ogni gruppo è stato pertanto quattro diverse descrizioni a cui tutti hanno collaborato.

Osservazioni dei bambini al termine del lavoro:

Questa attività mi è piaciuta abbastanza. Alla fine ero un po’ stanco, ma non ho trovato difficoltà a farla. Più volte, però, ho dovuto chiedere ad una compagna cosa aveva scritto. Da solo non avrei fatto meglio, mi sarei sicuramente stancato troppo. Mi piacerebbe ripetere l’attività ma vorrei cambiare gruppo.

(Davide)

L’attività mi è piaciuta molto. Inizialmente ero intimidito, poi non l’ho trovata difficile. Mi hanno aiutato Giuliana e le maestre. Da solo avrei fatto meglio, perché avrei capito di più. Vorrei ripetere il lavoro di gruppo, ma non con …….. perché non sa scrivere le virgole e disturba.

(Martino)

L’attività mi è piaciuta molto, mi sono sentito tranquillo. Ho trovato una difficoltà: non riuscivo a leggere una frase per la cattiva scrittura. Mi ha aiutato la maestra. Non avrei potuto fare meglio da solo perché il gruppo mi sostiene. Mi piacerebbe ancora lavorare in questo modo.

(Filippo)

Mi piace molto lavorare in gruppo. Quando la maestra Katia ci ha proposto questa attività mi sono sentito felice. Non ho trovato difficoltà perché le maestre Katia e Manuela ci hanno aiutato molto.

(Youssef)

Quest’attività mi è piaciuta moltissimo, mi sono sentita bene. Ho trovato poche difficoltà per esempio leggere quello che hanno scritto i compagni: qualcuno ha scritto male ed ha fatto tanti errori. Giuliana mi ha aiutato a correggerli, perché io mi stufavo.

(Bojana)

A me lavorare in questo modo è piaciuto moltissimo. Mi sono sentito molto emozionato. Ho trovato difficoltà a leggere la calligrafia di ….., per fortuna mi ha aiutato Elia.

Da solo non sarei stato capace di fare questo lavoro. L’ho trovato utile perché lavorando insieme si ascoltano anche le idee degli altri.

(Marco)

Quest’attività mi è piaciuta molto, mi sono sentito felice e non ho trovato difficoltà. Il compito è stato facile. Mi piacerebbe lavorare ancora in questo modo perché è stato molto interessante; da solo non sarei stato capace di fare tutto.

(Francesco)

Quest’attività mi è piaciuta molto. All’inizio ero preoccupata perché pensavo che il lavoro fosse venuto male, ma dopo mi sono resa conto che stava venendo bene. Ho trovato delle difficoltà a correggere le frasi di ….. ma dopo mi ha aiutato Federica ed ho spiegato a ….. che doveva scrivere meglio. Però, sinceramente, da sola non avrei combinato niente. Mi piacerebbe lavorare ancora in questo modo, perché con altri amici si tirano fuori più idee.

(Giuliana)

L’attività mi è piaciuta. Mi sono sentita rilassata. Certi momenti mi sono trovata in difficoltà, quando non sapevo cosa scrivere, ma la maestra mi ha dato un po’ di consigli. Mi piacerebbe lavorare ancora in questo modo, perché in gruppo si tirano fuori più idee.

(Valentina)

A me l’attività è piaciuta molto. Mi sono sentita bene, non ho avuto difficoltà e nessuno mi ha aiutato. Mi piacerebbe farla ancora.

(Rachele)

L’attività mi è piaciuta molto. All’inizio mi sentivo agitata, perché avevo paura di sbagliare, ma dopo ci ho preso gusto. Non ho trovato difficoltà ma certe volte non mi veniva in mente niente. Da sola non avrei potuto fare meglio perché insieme si fa sempre meglio. Mi piacerebbe farla ancora, soprattutto in altre materie.

(Federica)

L’attività mi è piaciuta, sono contenta. Ho trovato difficoltà a leggere alcune frasi dei miei compagni ma mi ha aiutata la maestra. Mi piacerebbe farla un’altra volta.

(Aya)

L’attività mi è piaciuta, sono contento, non ho trovato difficoltà. Non avrei potuto fare meglio da solo perché non avrei avuto molte idee. Mi piacerebbe lavorare ancora in questo modo.

(Alessandro)

L’attività mi è piaciuta molto. All’inizio ero preoccupato perché pensavo di non riuscire a farla, ma alla fine, il lavoro mi è sembrato facile, non ho trovato alcuna difficoltà. Da solo non avrei potuto fare meglio perché nel pezzo scritto dai miei compagni c’erano cose molto interessanti che non avevo pensato.

Mi piacerebbe lavorare ancora in questo modo.

(Elia)

L’attività mi è piaciuta molto. Mi sono sentito agitato tutto il tempo perché non ero pronto, ma non ho trovato difficoltà. Non avrei fatto di meglio da solo, perché in tanti ci sono più idee. Mi piacerebbe molto lavorare ancora in questo modo.

(Pietro)

Sono contenta, l’attività mi è piaciuta. Non ho trovato difficoltà e da sola non avrei fatto meglio perché in gruppo ho più informazioni. Mi piacerebbe lavorare ancora in questo modo.

(Maria Vittoria)

mercoledì 21 maggio 2008

"Me ne care ancora"

Domenica si è svolta la marcia di Barbiana, una marcia per ricordare don Milani e per chi crede nella scuola di tutti e di ciascuno.
Domani, a Trento, ci sarà l’incontro di presentazione degli atti del seminario “Don Lorenzo Milani – In parole povere”.
Della figura e dell’opera del Priore si è scritto anche ne “Il Quinto autore”, un’antologia (406 pagg.) che abbiamo creato con i colleghi/corsisti di Scienze della Formazione di Padova, nella quale sono riuniti brevi elaborati (i criteri imposti erano molto rigidi, max 2000 caratteri per autore) su autori da noi prescelti. Una pagina su don Milani:


Katia Stedile - "Il quinto autore" - Tutor: Rinalda Montani

TESTO: Scuola di Barbiana, Lettera ad una professoressa quarant’anni dopo, seconda edizione speciale, a cura di M. Gesualdi, Fondazione don L. Milani, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 2007.

MOTIVI DELLA SCELTA: A quarant’anni dalla pubblicazione della “Lettera a una professoressa” e dalla morte di don Milani, la ricchezza dell’esperienza di Barbiana è ancora attuale e induce sempre nuove riflessioni. Nell’ambito di questo lavoro - ripensare la relazione educativa sullo sfondo della Dichiarazione dei diritti dell’infanzia - mi sembra significativo soffermarmi sui concetti di “parola”, “cittadinanza attiva” e relazione educativa.

FRAMMENTI DELL’OPERA[1] E AUTORI DI RIFERIMENTO

Con “Lettera ad una professoressa” don Milani dà voce a chi non ha voce: sono i ragazzi poveri che prendono la parola, e lo fanno denunciando la scuola italiana, classista, autoreferenziale, “Un ospedale che cura i sani e respinge i malati” (p. 20); una scuola che aveva dimenticato l’art. 3 della Cost. “Ma voi avete più in onore la grammatica che la Costituzione” (p. 19).

“La scuola ha un problema solo. I ragazzi che perde […]

A questo punto gli unici incompetenti di scuola siete voi che li perdete e non tornate a cercarli. Non noi che li troviamo nei campi e nelle fabbriche e li conosciamo da vicino.[…]

Allora le cifre si mettono a gridare contro di voi. Dicono che di Gianni ce n’è milioni e che voi siete o stupidi o cattivi”. (p. 35)

“Voi dite d’aver bocciato i cretini e gli svogliati. Allora sostenete che Dio fa nascere i cretini e gli svogliati nelle case dei poveri. Ma Dio non fa questi dispetti ai poveri. È più facile che i dispettosi siate voi”. (p. 60).

“Anche i signori hanno i loro ragazzi difficili. Ma li mandano avanti.” (p. 61)


“Solo i figlioli degli altri qualche volta paiono cretini. I nostri no. Standogli accanto ci si accorge che non sono. E neppure svogliati. O per lo meno sentiamo che sarà un momento, che gli passerà, che ci dev’essere un rimedio.

Allora è più onesto dire che tutti i ragazzi nascono eguali e se in seguito non lo sono più, è colpa nostra e dobbiamo rimediare”. (p. 61)

L’istruzione per Don Milani era uno strumento per dare uguaglianza delle classi sociali più svantaggiate. A Barbiana si studiavano le lingue, soprattutto l’italiano, perché la parola è liberante, si imparava a vivere, ad essere uomini e cittadini sovrani.

Don Milani fa coincidere l’evangelizzazione con la presa di coscienza (Freire), e la coscientizzazione con la scuola, con il possesso e l’uso della parola, in una prospettiva in cui teologia e pedagogia si incontrano.

Per fare scuola bisogna “essere”, insegnare attraverso l’esempio, porsi in atteggiamento di ascolto, educare i giovani a costruire un mondo migliore. “I Care”: io mi faccio carico dei problemi.

I bambini, i ragazzi percepiscono ciò che realmente siamo, hanno bisogno di essere accolti e ascoltati nella relazione autentica. “Per fare bene in un mondo ingiusto […] ci vuole una sorta di testimonianza etica”, “per dare un senso alla vita”.[2]

Occorre intercettare i bisogni dei bambini come diritti e partire dagli ultimi, dai “milioni di ragazzi che aspettano di essere fatti uguali”. “Carriera, cultura, famiglia, onore della scuola, bilancino per pesare i compiti. Son piccinerie. Troppo poco per riempire la vita d’un maestro.

Qualcuno di voi se n’è accorto e non ne sa sortire. Tutto per paura di quella benedetta parola. Eppure non c’è scelta. Quel che non è politica non riempie la vita d’un uomo d’oggi.

In Africa, in Asia, nell’America latina, nel mezzogiorno, in montagna, nei campi, perfino nelle grandi città, milioni di ragazzi aspettano d’essere fatti eguali. Timidi come me, cretini come Sandro, svogliati come Gianni. Il meglio dell’umanità.” (p. 80)

La rivendicazione dell’uguaglianza è conquista culturale e padronanza della lingua. I ragazzi di Barbiana attraverso la padronanza della lingua ponevano una questione di sovranità: la lingua fa uguali, la lingua dà dignità, il dominio della parola dà potere alle classi subalterne nella neonata democrazia.

"Perché è solo la lingua che fa uguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende l'espressione altrui. Che sia ricco o povero importa meno. Basta che parli."

"Tentiamo invece di educare i ragazzi a più ambizione. Diventare sovrani! Altro che medico o ingegnere." (p. 96)

Don Milani non cerca solo il riscatto materiale degli ultimi, non lotta solo per il miglioramento delle loro condizioni di vita: cerca la pienezza dell’essere umano che sta nell’agire responsabile. Responsabilità è libertà.

Funzione della scuola è rimuovere le disuguaglianze e portare tutti i ragazzi ad un livello culturale tale da renderli sovrani e partecipati della loro vita sociale. La dimensione dell’essere dà un senso compiuto al sapere, all’esperienza scolastica.

Nel panorama attuale in cui emergono nuove povertà - i diversi, gli stranieri, i più deboli - dove si avverte un diffuso senso di isolamento, di disorientamento, di precarietà e di paura, occorre riproporre con forza il primato dell’educazione dei processi educativi e formativi partendo dalla persona, dalla scuola, dall’extrascuola.

“Perché non c’è nulla che sia ingiusto quanto far le parti eguali fra disuguali”. (p. 55)

“Perché il sogno dell’eguaglianza non resti un sogno vi proponiamo tre riforme.

I – Non bocciare.

II – A quelli che sembrano cretini dargli la scuola a tempo pieno.

III – Agli svogliati basta dargli uno scopo.” (p. 80)

La scuola, anche oggi, costituisce la prevenzione migliore per i quartieri degradati (Progetto Chance, Rossi Doria).[3]

“Non c’era ricreazione. Non era vacanza nemmeno la domenica.

Nessuno di noi se ne dava un gran pensiero perché il lavoro è peggio. Ma ogni borghese che capitava a visitarci faceva una polemica su questo punto.

Un professorone disse: “Lei reverendo non ha studiato pedagogia. Polianski dice che lo sport è per il ragazzo una necessita fisiopsico…”

Parlava senza guardarci. Chi insegna pedagogia all’università, i ragazzi non ha bisogno di guardarli. Li sa tutti a mente come noi si sa le tabellone.

Finalmente andò via e Lucio che aveva 36 mucche nella stalla disse: “La scuola sarà sempre meglio della merda”.

Questa frase va scolpita sulla porta delle vostre scuole. Milioni di ragazzi contadini son pronti a sottoscriverla.” (p. 12-13)

La scuola “è meglio”, ma a determinate condizioni, che vanno esaminate di volta in volta, calandole nel contesto specifico, riferendosi a nuove categorie, all’empowerment. [4]

Guardare alla scuola dal lato degli ultimi significa farne luogo di inclusione sociale, dare ai bambini cittadinanza, diritto, attraverso la parola, mettendosi in gioco, collocando l’azione educativa entro la cornice dei diritti sanciti dalla Convenzione ONU. Marco Rossi Doria scrive: “I diritti di bambini e ragazzi, spesso negati anche formalmente per anni, ora vengono riconosciuti de jure quasi dappertutto" tuttavia “tutti sono concordi nel rilevare che siamo di fronte a un gigantesco e crescente attacco alle prime età della vita, un attacco macroscopico nel Sud povero del mondo ma che certo non risparmia il Nord ricco".[5] "La forbice tra ricchi e poveri nel mondo va aumentando" nel mondo e in Italia.”[6]

A Barbiana l’educazione dava centralità all’allievo e la pratica d’insegnamento era fondata su un rapporto dialogico, spostando l’attenzione dai saperi alla persona. Attraverso il dialogo e il confronto educatore e bambino si mettono in gioco, relativizzando i propri punti di vista e le proprie idee, cercando nuove prospettive e pervenire così alla condivisione e integrazione. Similare è il percorso di educazione morale descritto da Pestalozzi nella lettera dell’esperienza di Stans.[7]

Nella relazione dialogica, “riscoperti spazi di condivisione, espressione, partecipazione, ognuno dà e riceve specifica umanità, in un flusso dialogico interrotto, volto a volto, che nulla toglie all’autorevolezza della guida e più si addice alla fioritura dell’umano”.[8]

Gli insegnanti “devono essere dei maestri di strada. Lo devono esser anche se rimangono a scuola: nel senso di inventare, costruire una vera relazione educativa come in un viaggio a cui si appartiene integralmente, lungo la strada…”,[9] chinandosi e accovacciandosi dinanzi al bambino, per avere lo sguardo alla sua altezza, per abitare insieme lo spazio della piccola quotidianità e il tempo dilatato e lento, largo perché la parola possa entrare.[10]

Bisogna "coinvolgere emotivamente i ragazzi", partire "dalla relazione", che "in qualche modo precede la comprensione o quanto meno la condiziona potentemente": essa "la chiave di volta, il centro."[11] “Un educatore - scrive Korczak - “non schiaccia ma libera, non trascina, ma innalza, non opprime ma forma, non impone ma insegna, non esige ma chiede”.[12]

L’esperienza di Barbiana suggerisce di riconsegnare all’infanzia i tempi e gli spazi che le spettano: il concetto greco del tempo scholé, il tempo vuoto, del non far niente, il tempo perso, per una ripresa del tempo psicologico, vissuto, sul tempo meccanico, collettivamente scandito, per una rivincita di kairòs su chrònos.[13]

Lo spazio, come nella scuola nell’asram di Santiniketan (Tagore): ambiente familiare, ricco di amabilità, tra antichi alberi e spazi aperti; l’insegnamento affiora da una vita semplice, libera, creativa, dalla mancanza di superfluità, dall’esercizio di critica e autogoverno, e trae alimento da un’atmosfera favorevole alla crescita intera, esteriore ed interiore.[14]



[1] Le citazioni evidenziate sono di: Scuola di Barbiana, Lettera ad una professoressa quarant’anni dopo, seconda edizione speciale, a cura di M. Gesualdi, Fondazione don L. Milani, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 2007.

[2] Marco Rossi Doria, Di mestiere faccio il maestro, L’ancora, Napoli 1999, pp. 20-141.

[3] Marco Rossi Doria, Di mestiere faccio il maestro, L’ancora, Napoli 1999, p. 178.

[4] Ibidem, pp. 41-42; 46-47-48.

[5] Ibidem, p. 27.

[6] Ibidem, da p. 29 a 39.

[7] E. Toffano Martini, Ripensare la relazione educativa, La Biblioteca Pensa MultiMedia, Lecce 2007, pp. 227-228-229.

[8] Ibidem, p. 11.

[9] Marco Rossi Doria, Di mestiere faccio il maestro, L’ancora, Napoli 1999, p. 144.

[10] E. Toffano Martini, Ripensare la relazione educativa, La Biblioteca Pensa MultiMedia, Lecce 2007, p. 216.

[11] Marco Rossi Doria, Di mestiere faccio il maestro, L’ancora, Napoli 1999, p. 44.

[12] E. Toffano Martini, Ripensare la relazione educativa, La Biblioteca Pensa MultiMedia, Lecce 2007, p. 211.

[13] Ibidem, pp. 48-49.

[14] Ibidem, pp. 225-226



sabato 17 maggio 2008

Fiabe e successo scolastico

Le fiabe ai bimbi già a sei mesi e a scuola saranno più bravi: la situazione scolastica dei miei figli (maschi) smentisce questo articolo... ma c'è sempre l'eccezione. Tuttavia non mi arrendo, nonostante abbiano 10 e 13 anni, continuo a leggere loro romanzi, racconti, articoli di giornale... se son rose fioriranno... spero presto.

Verso nuovi piani di studio della scuola trentina

Oggi è stato presentato il documento base per l’elaborazione dei Piani di studio provinciali, previsti dalla legge provinciale di riforma del sistema scolastico e formativo. Ora il confronto con il mondo della scuola, prima di procedere all’elaborazione vera e propria dei piani di studio provinciali, da parte di gruppi per aree disciplinari aperti ai docenti.




martedì 13 maggio 2008

MoodleMoot 2008




Slide del workshop MoodleMoot 2008, realizzate da Gianni Marconato. Riporto anche una frase, "una battuta di rara efficacia" (Marconato), pronunciata da Luciano Galliani, professore e Preside della Facoltà di Scienze della Formazione di Padova, che sottolinea la complessità dell'interazione didattica con le nuove tecnologie: "Non basta un clic per aprire una relazione"

sabato 10 maggio 2008

Festa della mamma

Questa è una delle poesie che i miei alunni hanno scritto per la festa della mamma.

Cara mamma,

se io fossi il vento con te volerei

se io fossi la maestra spesso ti chiamerei

se io fossi la terra donerei le rose a te

se io fossi il cielo ti porterei con gli uccelli da me

se io fossi il mare con un bellissimo vestito azzurro ti ricoprirei

se io fossi il fuoco per l’eternità ti riscalderei.

Se io fossi Bojana, come sono, ti dico che sono felice e ti dono questa poesia.




giovedì 8 maggio 2008

Consigli per scrivere divertendosi

Sto leggendo “L’italiano - lezioni semiserie”, di Beppe Severgnini, scritto “per denunciare le violenze commesse contro l’italiano. Lo scopo è la riabilitazione. Scrivere bene si può, e non è pure difficile. L’importante è capire chi scrive male, e regolarsi di conseguenza.”

In sintesi, ecco i suoi consigli. Si comincia dal Decalogo Diabolico (per stabilire dove è arrivato il nostro degrado) e si arriva ai Sedici Semplici Suggerimenti, metà appresi da Montanelli, metà ispirati a Flaiano.

Decalogo Diabolico: seguite queste regole e cadrete così in basso che, a quel punto, potete solo risalire. Ignorandole saremo già sulla buona strada.

I

Usate dieci parole quando tre bastano.

II

Usate parole lunghe invece di parole brevi,

sigle incomprensibili e termini specialistici.

III

Considerate la punteggiatura una forma di acne:

se non c’è, meglio.

IV

Fate sentire in inferiorità il lettore:

bombardatelo di citazioni.

V

Nauseatelo con metafore stantie.

VI

Costringetelo all’apnea: nascondete la reggente

dietro una siepe di subordinate, e cambiate il soggetto

per dispetto.

VII

Infilate due o più che in una frase.

VIII

Non scrivete Il discorso era noioso, e i relatori aspettavano

l’intervallo ma Lo speech era low-quality e il panel s’era messo

in hold per il coffee-break.

IX

Usate espressioni come in riferimento alla Sua del…;

il latore della presente; in attesa di favorevole riscontro.

X

Siate noiosi.



Regola per P.O.R.C.O: suggerita ai ragazzi alle prese con un tema, e agli adulti impegnati a scrivere qualsiasi documento.


Pensa (aspetta a scrivere: prima decidi cosa dire)

Organizza (elenca i punti da toccare)

Rigurgita (butta fuori, senza pensarci troppo)

Correggi (e rileggi con calma, almeno due volte)

Ometti (togli tutto ciò che non è necessario)


Sedici Semplici Suggerimenti

Avere qualcosa da dire

Dirlo

Dirlo brevemente

Non ridirlo. Se mai, rileggerlo

Scriverlo esatto

Scriverlo chiaro

Scriverlo in modo interessante

Scriverlo in italiano (è più trendy, baby)

Non calpestate i congiuntivi

Non gettate oggettive dal finestrino

Spegnete gli aggettivi, possono causare interferenze

Non date da mangiare alle maiuscole

Slacciate le metafore di sicurezza

In vista della citazione, rallentate

Evitate i colpi di sonno verbale

L’ultimo che esce, chiuda il periodo.